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La prova di Iblis nel Corano e nella tradizione islamica persiana

Gli angeli si prosternano davanti ad Adamo, miniatura attribuita al pittore Farhâd, Bukhara circa 1650 (Arthur M. Sackler Gallery, Smithsonian Institution, Washington).

Dio svia chi vuole e guida chi vuole” (Corano, Sura XXXV)

In origine Iblis è un angelo buono che, al momento della creazione di Adamo, viene invitato a prosternarsi dinanzi al nuovo “manufatto” divino insieme a tutti gli altri angeli.

“Noi (Allah) dicemmo agli angeli: prosternatevi avanti a Adamo! E tutti si prosternarono salvo Iblis, che rifiutò superbo e fu dei negatori. (Corano II, 34)
E Iddio disse: che cosa ti ha impedito di prosternarti, quando te l’ho ordinato? Iblis rispose: non sarà mai che io adori un uomo, che Tu hai creato da argilla secca presa da fango nero impastato.
Disse allora Iddio: Esci di qui, che tu sia reietto e si posi su di te la maledizione sino al giorno del Giudizio. (Corano XV)

Nel dettato coranico la prova di Iblis resta in ombra, ma viene portata pienamente alla luce attraverso le riflessioni di alcuni tra i più grandi mistici dell’Islam. Il Maestro Hallaj fu messo a morte per queste riflessioni nel 922.
Hallaj inizia la sua ri-lettura, analizzando ancora una volta il non-detto dello stringato dettato coranico concernente il colloquio decisivo tra Dio e Iblis; quindi, introduce un immaginario colloquio tra Iblis e Mosè in cui il profeta compare nell’inedito ruolo di un attento “intervistatore di satana”:1

«Mosè incontrò Iblis sul pendio del Sinai e gli disse: “O Iblis, che cosa ti ha impedito di prosternarti?” Quello rispose: “M’ha trattenuto la mia affermazione di un Unico Adorato. Se mi fossi prosternato di fronte a Adamo, sarei stato simile a te, che dopo aver ascoltato una sola volta il grido [di Dio] Guarda il monte! (Corano, VII, 143), hai guardato. Io invece, sebbene mi sia sentito dire mille volte “Prosternati! Prosternati!”, non l’ho fatto per coerenza d’intenzione”. Continuò Mosè: “E adesso ti ricordi ancora di Lui?”. “O Mosè –rispose – il vero ricordo non ha bisogno di ricordare. Io sono il ricordato, come Lui è il ricordato. Il ricordo di Lui è ricordo di me, e quello di me è ricordo di Lui: come potrebbero due che si ricordano non trovarsi insieme? Il mio servizio nei Suoi confronti è ora più puro, il mio tempo è più vuoto, il mio ricordo è più dolce, perché nel tempo primordiale io Lo servivo per il mio piacere, e ora Lo servo per il Suo piacere”. (Hallaj, Diwan, pp. 130-31)»

Hallaj per primo comprende che Dio in realtà ha posto Iblis di fronte a una tragica scelta: se obbedisce, si mostrerà un idolatra esattamente come gli altri angeli; se disobbedisce, attesterà la unicità divina (tawhid), ma sarà cacciato dal Suo cospetto, sarà un reietto. Ma Hallaj ha davvero “creato” in Iblis una nuova identità: ha fatto di lui un eroe dell’Amore, perché attraverso la prova egli è emerso come il primo impareggiabile mistico amante.

Così Iblis conclude la sua brillante apologia nel testo hallajiano: “Abbiamo innalzato il nostro desiderio al di sopra dei divieti [della Legge], dell’utile o del danno. Quando mi ha scacciato, Egli mi ha isolato e reso unico, affinché non venissi confuso con i devoti. Mi ha sottratto agli altri per la mia gelosia nei Suoi confronti; mi ha reso geloso per il mio stupore di Lui; mi ha stupefatto per il mio esilio; mi ha esiliato per il servizio che Gli ho reso; mi ha reso proibito per la mia amicizia con Lui; mi ha fatto ripugnante per gli elogi che Gli ho rivolto; mi ha interdetto perché L’ho abbandonato; mi ha abbandonato perché L’ho contemplato; si è fatto contemplare perché ero unito a Lui; m’ha unito a Lui perché ho rotto con Lui, mi ha spezzato per impedirmi di morire. Per la Sua Verità! Io non ho errato sul decreto [divino], non ho rinnegato il destino [assegnatomi da Dio], non mi sono curato della deformazione del mio aspetto: io non ho potere alcuno contro questi poteri divini. Anche se il mio tormento nel fuoco infernale dovesse durare per l’eternità dell’eternità, ebbene io non mi prosternerei mai dinanzi a qualcuno, non mi umilierei davanti a una persona o a un corpo, perché non riconosco nessuno come Suo rivale o figlio! Le mie parole sono come quelli dei sinceri, nell’amore sono stato uno dei primi: come potrebbe essere diversamente?” (Hallaj, Diwan, p. 129)

Testo di Sheida Ahmadi e Nicole Marchese

Illustrazione di un Diwan di Hafez, miniatura persiana del sec. XVI (Collezione Pierre Le-Tan, Parigi)

Testo poetico di Khāje Shams o-Dīn Moḥammad Ḥāfeẓ-e Shīrāzī2, grande martire dell’amore mistico (Shiraz, 1315 –1390).

Ascolta la poesia in persiano

Nell’istante che fu soglia di creazione
Amore rivelava se stesso e, nel suo apparire,
inondava di fuoco tutti i mondi.
Sebbene si manifestasse come raggio d’amore,
gli Angeli non potevano comprendere quel che vedevano,
perché quell’amore non aveva in loro dimora.
Fu con l’essenza di questo fuoco che Amore fece l’uomo.
La mente vorrebbe usare questo fuoco, facendo luce su di sé,
e finalmente capire, ma il bagliore di un fulmine
distrugge le ombre, unico confine possibile.
Colui che crede di conoscere vorrebbe carpirne il segreto.
Ogni cosa è nascosta ai suoi occhi dalla mano dell’invisibile.
Non è il cuore a guidarlo.
Così, nella gioia della tua purezza restano gli angeli.
Noi, nel dolore della separazione da Te.
Non fu il Diavolo a gettarci nel pozzo della discesa dal cielo.
La profondità della tua essenza ha fatto ancorare il nostro cuore alla sofferenza di questo amore.
Hafiz ha scritto questa storia il giorno in cui ha rifiutato il percorso di una vita ordinaria.

(Traduzione a cura di Sheida Ahmadi e Nicole Marchese)


1. Il riferimento è tratto da Iblis, il Satana del Terzo Testamento di Carlo Saccone, docente di Lingua e letteratura persiana e di Storia del pensiero islamico all’Università di Bologna.
2. Comunemente chiamato Hafez