Il gong

Momenti di ricerca

Il silenzio è cosa viva

Le Fuji bleu, Série des Trente-six vues du mont Fuji, Katsushika Hokusai (1760-1849) – Musée national des arts asiatiques Guimet de Paris

Testi tratti da Il silenzio è cosa viva, di Chandra Livia Candiani [Einaudi, 2018], poetessa e ricercatrice spirituale 

Ritratto di Chandra – Foto di Melina Mulas

«Non cerco un percorso per essere lasciata in pace e, se anche lo conoscessi, non lo insegnerei mai. È meraviglioso lasciarci disturbare dalla vita, dagli altri e nello stesso tempo non restarne schiacciati. Non si tratta di essere imperturbabili, ma imperturbati dal turbamento, accogliere ogni visitatore, e si sa, i più scomodi e molesti hanno grandi doni in tasche nascoste. E accogliere non è accettare, si può accogliere l’inaccettabile, e poi ci si può più efficacemente ribellare, spingere via, scappare, denunciare, quando è necessario.»

«Onorare tutto quello che ci attraversa senza diventarne preda è per me meditare e non farsi cacciatori con il fucile puntato contro ogni pensiero per raggiungere una quiete che è solo sospensione delle turbolenze mentali ed emotive. Essere al mondo è un continuo impatto sensoriale, possiamo sospenderne la forza di tanto in tanto, ritirandoci, per meglio conoscere le condizioni del mare e quelle della navigazione, ma restare sempre ancorati nel porto non è conoscenza, solo rassicurazione e fuga

«Un Maestro tibetano disegnò un giorno per i suoi studenti, sul bianco di una lavagna, il segno stilizzato di un piccolo uccello e chiese: “Cos’è?”. Nacquero tante diverse risposte. Tutte decifravano il piccolo segno. In molti risposero: “Un uccello”. E il Maestro, continuando a scuotere sorridendo la testa, rispose: “È un cielo vasto e in questo momento sta passando un uccello”.

Siamo cieli vasti e restare connessi alla vastità ci permette di vedere i fenomeni che ci attraversano, di riconoscerli, sentirli e guardarli svanire. E se c’è malinconia, nostalgia, disperazione nel vederli spuntare o nel vederli scomparire, sono altrettanti uccelli, uccelli disperati, malinconici, struggenti, e guardiamo anche loro, li sentiamo, li lasciamo sostare tutto il tempo che vogliono e poi li guardiamo volare via quando il loro tempo è venuto. Non è facile, si tratta di spiazzarsi, non essere più un centro, ma una grande periferia sconfinata, e veder sorgere e tramontare i fenomeni e accorgerci dell’amorevole sfondo che rimane e che non è di nessuno.» «Il mondo è pieno di persone che danno ricette per disfarsi di qualsiasi cosa ci opprima, per non sentire o entrare in un’illusione anestetizzante. La pratica della consapevolezza, invece, insegna a stare, a entrare in intimità con quello che ci accade, e il paradosso è che questa intimità è impersonale. Non restiamo invischiati nell’autonarrazione, l’intimità della meditazione è contatto con il tessuto dell’esperienza, con la percezione diretta e non mediata dai concetti di quanto accade, del suo impatto su di noi. E questa giusta vicinanza ci permette di arrivare non più a una reazione ma a una risposta. Non ci confina in una sorridente passività, ma anzi, l’accoglienza di quel che ci accade porta con sé l’energia di una giusta azione che si stacca da noi quando il tempo è maturo, e va nel mondo

«Se senti e sai nelle vene che la morte non è solo tragedia e non è la fine se non dell’io e dei suoi timori, le convenzioni religiose e intellettuali non hanno più tanto potere su di te e sul tuo pensiero, e ti senti molto sola e molto in compagnia di tutti gli esseri che si abbandonano al flusso: foglie, rami, montagne, onde, e così tanti animali, bambini e alcuni adulti, sciupati oppure lucenti.»